le altre parole

Le altre parole sono quelle che non si dicono nello spazio concreto degli incontri, sono quelle che sfuggono all'attimo, ma si raccolgono tra la sabbia del "volevo dire", sono le frasi che possono colorare di rosso le guance e per questo si preferisce scriverle, sono i racconti che hanno bisogno di tempo, sono il filo di lettere che cerca di tenere collegati due momenti distanti, sono le parole che hanno bisogno di restare fisse e ben visibili da tutti... scrivi a mirkoartuso@libero.it

19.9.07

LABORATORI . questioni di spazio e di tempo




FERRARA UNIVERSITA' periodo Ottobre 2007 Dicembre 2007
FERRARA Progetto T&H periodo Ottobre 2007 Maggio 2008
TREVISO Progetto T&H periodo Settembre 2007 Dicembre 2007
CONEGLIANO mangiarsi le parole - lettura ad alta voce periodo Febbraio 2008 Aprile 2008
OASI CERVARA periodo 27.28.29 Giugno - 4.5.6 - 11.12.13 Luglio 2008 Tre Laboratori per tre fine settimana intensivi VOCE. PAROLA. MOVIMENTO condotti da Mirko Artuso - Paola Dallan - Marco Menegoni - Simone DeRai
CENTRO NEUROPSICHIATRIA Infantile Torino periodo Agosto 2008 Settembre 2008

Riflessioni sul senso del fare teatro oggi
 
Ho bisogno di una forte affinità con le persone con cui lavoro, perché quello che si cerca ogni volta di raggiungere è un rapporto intimo e originale, che non può che fondarsi sulla fiducia reciproca e sullo scambio. Le intenzioni devono essere chiare, perché sia preciso l’obiettivo e una volta raggiunto condivisibile.. Quello che cerco è un filo continuo, una linea che parte dall’affinità tra le persone coinvolte e cerca lo spazio intorno e dentro alle parole, ai gesti, alle azioni.
 
Sembra paradossale ma quello che accade in questi casi penso che si possa chiamare immobilità nel movimento. Non è difficile da cogliere questa sottile sfumatura negli attori con i quali lavoro. L’apparente fissità spesso nasconde un movimento interiore potentissimo, capace di commuovere e divertire, destabilizzante per la maggior parte delle volte. Eppure sembrano immobili, come fissati nell’orizzonte senza pensieri.
 
Il filo di cui parlo, lega tra loro, quasi tutti i lavori che ho nel tempo proposto. Cerco di stare lontano il più possibile dal tranello (ricatto morale) buono o cattivo, bello o brutto, migliore o peggiore e mi concentro sul filo, la linea che tiene saldamente in piedi tutta l’opera: è un’unica concezione, un modo di guardare e ascoltare. Il teatro vuol dire un milione di cose, ma alla fine, deve prima volerne dire una sola; se non vuole dire una sola cosa, prima o poi si sfalda, si sgretola. Si perde e si confonde.
 

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